La presenza dei genitori

aurora zaccaron
2 min readNov 27, 2020

E cosa fare quando sei cresciuto

Doctores, Ciudad de México. 2021

Quando fu la prima volta che cominciai a pensare ai miei genitori? Intendo dire, in senso profondo, per assegnar loro un ruolo nella mia vita. Forse ero adolescente, nel mezzo di quel turbinio emotivo in cui sbandavo da un pensiero all’altro nel tentativo di capire che cosa volevo diventare, e mi rammaricavo del fatto che non mi venisse in mente nulla. O forse fu quella volta che mi laureai e pensai di aver fatto l’università solo per fare un piacere ai miei genitori.

Qualunque sia stato il momento in cui è iniziato, da allora non ho mai smesso di pensare che in qualche modo queste due creature avessero inciso sulla mia personalità e quindi anche sulla mia capacità di affrontare il mondo.

Devo ammettere di aver spesso addossato loro la colpa del mio carattere difficile, delle mie difficoltà nel campo relazionale, tanto che la mia rinascita sociale coincise con il primo effettivo distacco dalla casa familiare. Come fosse una forma di ribellione da quello che ero stata fino ad allora, per togliermi di dosso quell’aurea di figlia che tanto mi stava stretta e diventare una donna indipendente. Fu quello che si può definire il mio passaggio all’età adulta, che coincise con l’inizio di un nuovo lavoro (il mio primo a pieno titolo) e il trasferimento in un’altra città.

È tanto vero che siamo legati alle vite dei nostri genitori, che spesso non ci rendiamo conto di quando comincia la nostra vita indipendentemente da loro o quanto possano influenzare la nostra vita anche da adulti.

Quando mi confronto con persone della mia generazione, percepisco spesso una forte interferenza delle personalità dei rispettivi genitori. Nello specifico, di una qualche loro presunta (o effettiva) mancanza.

Ora, quello che comincio a domandarmi è se abbiamo veramente diritto di rimproverar loro di aver commesso errori nei nostri confronti. Fare i genitori è difficile, è il ruolo più difficile che esista. Forse sono proprio loro i primi a darsi la colpa per le sofferenze dei figli, pensando di aver sbagliato qualcosa nell’educazione impartita. O di essere stati troppo assenti durante la crescita del loro pargoletto.

Potrebbe essere così, come potrebbe essere che non se ne rendano conto, o non abbiano il coraggio di ammetterlo. In ogni caso sono giunta ad una mia personale convinzione, che se anche hanno avuto delle colpe e potrebbero per questo essere passibili di accusa, ad un certo punto i figli crescono, indipendentemente dalle loro assenze/presenze.

A quel certo punto, ci si può guardare indietro e provare gioia o dolore, ma è necessario voltare pagina. Come? Accettando quello che è stato, cercando di capirne le ragioni, e se anche non troviamo subito una risposta, andare avanti e diventare adulti responsabili delle proprie emozioni. E perdonare.

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aurora zaccaron

Born and raised in Treviso, I always loved reading and writing. Blogger at ilviaggiodimia.it